lunedì 13 aprile 2015

Un distopico post-apocalittico scritto con poche parole e tantissimo cuore

TITOLO: La strada
AUTORE: Cormac McCarthy
EDIZIONE: Einaudi
PAGINE: 220
VERSIONE LETTA: cartacea e kindle 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9

Ho appena finito di leggerlo.
Forse sarebbe meglio riprendermi un attimo dall'emozione.
Se dico emozione forse vi viene in mente (così, d'istinto) una cosa positiva. Invece no.
Emozione stavolta racchiude in sé qualsiasi cosa negativa possiate pensare, tranne una: bellezza.
Eppure anche la bellezza, in questo libro, assume un connotato diverso dal solito, diciamo che è un po' opaca.

Oltre ad essere bellissimo, è struggente, triste, crudo e crudele, sadico, cupo, tormentato e tormentoso, nero. Pieno di cenere. Letteralmente e metaforicamente.



Un mondo post-apocalittico. Mi pare già di sentire alcuni di voi che dicono "e cosa ti aspettavi?". Si, ok, avete ragione. Ma avete anche torto e se non sapete perché è perché non l'avete mai letto. Fatelo.
Non penso di esagerare dicendo che un'esperienza di lettura come questa può farvi deragliare un po' dai vostri binari perfetti e immutabili. Può farvi vacillare sulle vostre convinzioni scricchiolanti, perché voi ancora non lo sapete quanto fragili siano, ma questo libro le denuderà. E per voi (o almeno, per alcuni di voi) saranno guai seri.

Insomma, quello che vi consiglio, prima di mettervi "comodi" a leggere queste poco più di duecento pagine, è di fortificarvi. Fortificate le vostre convinzioni, la vostra razionalità, i vostri sentimenti nei riguardi di ogni cosa (persona, animale, oggetto e soprattutto voi stessi), allacciatevi una cintura che probabilmente non vi servirà a un fico secco e partite.

Un mondo desolato, come vi dicevo prima. Niente di niente è rimasto vivo, non un albero, non un animale, quasi nessun essere umano. E ovviamente, i pochi vivi devono sopravvivere e per farlo saccheggiano edifici e persone.
Su questo sfondo grigio e coperto di cenere, quasi fosse una moderna Pompei, ci sono un uomo e un bambino. Senza nome, senza età. Padre e figlio. Che avanzano verso sud, sperando in un posto più caldo. Segretamente, sperano anche di trovare persone "buone", persone che "portano il fuoco".
"Ma che cos'è il fuoco, papà?"
"Lo sai, cos'è. Ce l'hai dentro di te, l'ho visto".

Straziante.

Attraverso le parole, poche ma cariche di amore, a volte stanche e sconfortate, a volte semplicemente parole, dei due sopravvissuti, ci rendiamo a poco a poco conto di quello che è successo, del caos in cui il mondo è precipitato e della morte (reale e veloce) a cui sta andando incontro.
Anche loro due sanno perfettamente che devono morire (soprattutto il padre, che sta male) ma è come se, prima di farlo, volessero trovare quelle persone buone, per provare di aver sempre avuto ragione, che il mondo non poteva essere tutto marcio.
Noi stiamo lì con loro, affaticati, quasi con lo stesso fiato corto, ma a un certo punto la speranza sembra proprio abbandonarci. Anzi, in più punti.
Per esempio, quando i due trovano una botola con degli esseri umani ancora tecnicamente vivi chiusi dentro, usati come cibo da persone "cattive". Oppure quando sembra che il bambino non abbia più nessuna fiducia nel padre, dopo che hanno abbandonato un altro bambino incontrato per strada. Se non ce l'ha lui, che è suo figlio, perché dovremmo averla noi? Oppure quando, appena usciti da una città senza nome, come tutte le altre, vengono aggrediti da una "pioggia" di frecce e il padre rimane ferito.
Fino alla fine, fino all'ultimo paragrafo, abbiamo paura che la speranza non serva più a niente, che tutto sia vano e che il bambino in fondo abbia ragione a dire di voler essere morto.
Quando muore suo padre, sembra che in lui si spezzi qualcosa.
Ma poi ecco che un piccolo (enorme?) miracolo accade: persone buone. Persone che (forse) hanno il fuoco. E ciò che si era spezzato (o stava per) forse non si spezzerà più.

E' vero, il sospiro di sollievo che tiriamo è breve, assomiglia più a un rantolo, e non siamo neppure certi di averlo tirato. Ma invece l'abbiamo fatto. Perché, diavolo, non può essere tutto marcio a questo mondo. Tutto morto. Tutto ridotto in nulla.

Devo consigliarvi questo libro, pur con tutte le precauzioni di cui sopra. E' un'esperienza onirica, che somiglia a un incubo tutto nero (come il buio in un mondo morto) ma in fondo alla quale c'è sempre una piccola, a volte offuscata, luce. Dovete lasciarvi trascinare in questo tunnel, dovete soffrire un po' e poi dovete uscirne. Diversi, forse. Ma sbatterete le palpebre in maniera diversa una volta fuori da lì.

Anarchic Rain

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