giovedì 3 dicembre 2015

Sessanta racconti di Dino Buzzati

Ho iniziato questo libro un po' per caso, un po' perché volevo leggere un italiano dopo tanti stranieri, ma non Calvino (che prendo a piccole dosi, perché troppa bellezza fa male). Me lo ha passato un mio amico quattro anni fa. Si, ha preso un po' di polvere (virtuale). E poi l'ho iniziato.

Come spesso mi succede, la prima domanda che mi son fatta è stata: perché diavolo c'ho messo tanto a leggerlo????? Questo libro è bellissimo!
In effetti, più andavo avanti con la lettura (sono racconti, potrei anche leggerne uno ogni tanto, ma fidatevi: non è possibile staccarsi) e più mi rendevo conto della bellezza rude dietro ognuno dei racconti.

Non sono semplici: quasi nessuno ha una fine e di moltissimi il senso reale sfugge non appena proviamo a fermarlo.
Sono ossessivi, crudi, gotici, terribili, sorprendenti. Solo occasionalmente e quasi per caso sono anche romantici, ma l'aspetto principale è la loro crudezza. E anche la loro crudeltà.
La maggior parte è ambientata in un mondo post-bellico, o in un mondo distopico, in cui le cose non sono come le conosciamo e le persone non si comportano come noi facciamo.

Qual è il racconto che mi è piaciuto di più? Oddio, questa domanda è terrorizzante. Sono sessanta, mica uno. E sono tutti stupendi. Diciamo che ce n'è qualcuno che mi ha colpito più di altri. Per esempio, "Sette piani". Alta suspance in una situazione claustrofobica. Una malattia non meglio precisata, progressiva, colpisce le persone che vengono chiuse in una specie di ospedale, per essere curate o per morire. Il settimo piano è quello dei malati meno gravi, quasi sani, diciamo. Man mano che si scende di piano aumenta la gravità. Al primo, ci sono quelli che stanno per morire. Il protagonista è un malato che si ricovera di sua spontanea volontà e va al settimo piano. Col passare del tempo, con delle scuse a volte incredibili, i medici lo spostano di piano pur continuando a dire che lui sembra sano come un pesce. Finché arriva al primo...
Giuro, raramente mi è capitato di trattenere il fiato così tanto per leggere qualcosa, ma tu sei lì che non capisci se veramente lui deve continuare a scendere e ti sembra di no, perché il racconto in prima persona è lucidissimo e lui sembra stare bene. E allora pensi che forse i medici stanno sbagliando e vorresti che se ne accorgessero, ma loro non se ne accorgono... E poi che razza di malattia è mai quella? Infettiva? Degenerativa? Neoplastica? Non si capisce mai. E a me piacciono, sono sempre piaciute, le storie in-finite, quindi in questo libro c'è pane per i miei denti.

Un altro esempio è "Il mantello". Il giovane soldato che torna a casa quando ormai nessuno ci sperava più e che si ferma solo per salutare...la madre, dapprima sorpresa, poi disperata, poi grata per quell'ultimo saluto che la Morte le ha concesso. Struggente, davvero.
Così come struggente è anche Inviti superflui, quasi un inno all'amore al rovescio. Una speranza mancata, un incontro inutile, un amore mai vissuto.

"I topi" invece è disturbante. Una famiglia benestante a poco a poco viene sopraffatta dai topi, che prendono il controllo di casa...l'ultima frase del racconto me la sono immaginata come un film ed è davvero agghiacciante.

"Era proibito" è un racconto molto breve sulla poesia, sulla sua proibizione e sul suo risorgere, sempre e comunque, quasi inconsapevole, ma sempre senza sforzo. Perché la poesia è sempre dentro di noi, che lo sappiamo o no. E poi quando una cosa è proibita c'è più gusto a farla, no?

"Una lettera d'amore" è tra i racconti più tristi della raccolta...davvero un "lasciate ogni speranza, o voi che tentate", però a suo modo è dolce e ti ritrovi a fare il tifo per il protagonista.

Insomma, lasciatevi tentare da questo libro. Ci troverete un sacco di cose dentro e se non dovesse piacervi qualcosa, ci sono sessanta meraviglie per tutti i gusti.
C'è di buono che potete leggerlo a salti, persino uno all'anno, se ci riuscite. Vi sfido...

Anarchic Rain

Nessun commento:

Posta un commento