mercoledì 8 giugno 2016

L'estate dei morti viventi di John Ajvide Lindqvist

Prima le facezie.
Dopo aver letto questo libro, posso affermare al di là di ogni ragionevole dubbio, che in Svezia, quando si piange, ci si DEVE sdraiare sul pavimento. Della cucina, del salone, della camera da letto. Uno qualsiasi, vanno bene tutti. Se non hai un pavimento, non puoi piangere.
Ah-ah.

Ok, ok, torno seria (per quanto mi è possibile).
Avete mai sentito quel detto "Una farfalla batte le ali in Florida e in Giappone arriva l'uragano" (o una variante geografica)? Ecco, in questo libro si parte dall'uragano, ossia dall'effetto che però è minuscolo rispetto alla farfalla che ha sbattuto le ali.

Le domande che il libro scatena sono decine: che faresti se i morti tornassero? La società moderna come la prenderebbe? Perché un morto dovrebbe tornare in vita? E lui, cosa farebbe?

Lindqvist cerca di rispondere a tutto. E in un certo senso la sua visione è interessante. Solo che sembra scritto di fretta. Cioè, la preparazione è molto dettagliata, ma non noiosa, conosciamo i personaggi, li vediamo prendere decisioni e interagire tra loro. Ma quando finalmente si arriva al nocciolo, lo risolve in due pagine. No, no, non si fa.

Il libro è suddiviso in capitoli, a loro volta suddivisi in sottocapitoli, ognuno col nome del quartiere di Stoccolma in cui si svolge. Sicuramente, ciò che contribuisce a rendere quasi palpabile l'atmosfera del libro, è il fatto che si svolge in luoghi che l'autore conosce (e probabilmente ama), rendendo le descrizioni vivide e realistiche.
I personaggi principali appartengono a tre nuclei familiari: padre (vivo)-madre (deceduta)-figlio (vivo), nonna (viva)-nipote (viva) e madre (viva)-figlio (deceduto)-nonno (vivo).
Mi sono piaciuti molto tutti e otto, anche il nonno (secondo me il più folle, con parziale accezione negativa del termine) con tutti i suoi lati negativi e la nonna con la sua mania religiosa, ma quella che più di tutti ho apprezzato è stata la nipote, una specie di darkettona anarchica con poteri ESP. E' lei che alla fine arriva a districare il nodo di tutti i perché accumulatisi in quei giorni surreali.

Se vi sembra fin qui una recensione un po' freddina, sappiate che è effettivamente così. Il libro non mi ha entusiasmato nemmeno un po', nonostante un paio di scene non mi abbiano permesso di continuare la lettura al buio. Probabilmente mi aspettavo un altro capolavoro alla Lasciami entrare.
Di certo è superiore a Musica dalla spiaggia del paradiso, il suo ultimo libro, una storia non-sense che non vuole arrivare da nessuna parte e non provoca niente tranne sporadici sbadigli...ma non di tantissimo, alla fine.

Lui scrive bene, ha un ottimo senso del ritmo e i personaggi sono interessanti. Ma le storie sono deboli.
Per ora ho letto tre dei cinque romanzi usciti e la sua unica raccolta di racconti (molto, molto bella); quando finalmente leggerò gli ultimi due, mi farò un'idea precisa di questo scrittore. Un solo capolavoro non è convincente...

Anarchic Rain

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