lunedì 25 luglio 2016

Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas

Ho appena finito di leggerlo e il mio cuore non si calma ancora!
Monsieur Dumas aveva già fatto palpitare il mio cuoricino suscettibile con Orrore a Fontenay (avevo tipo 12 anni quando lo lessi e mi piacque moltissimo, ero nel mio periodo horror -che non è mai passato-) e La vicenda della dama pallida (un mini-Dracula francese, un po' svenevole ma piacevolissima lettura). Poi recentemente ho letto I tre moschettieri che mi ha definitivamente convinta: Dumas è un fenomeno.
Così, dopo mesi (forse dovrei dire anni) di attesa, ho iniziato Il Conte e l'ho letto col fiato sospeso.

Ovviamente a grandi linee conoscevo la trama, una storia di vendetta a sangue freddo, da parte di un poveraccio sbattuto in prigione per gelosia, sui tre responsabili, nel frattempo diventati stra-ricchi.

Ma già dalle prime pagine, quando il complotto prende forma e infine si realizza, sei costretto a leggere, a sbrigarti, a voltare sempre quella che dovrebbe essere l'ultima pagina e poi non lo è. Fin dal primo rigo fai il tifo per il povero Edmond, che perde quattordici anni della sua giovinezza perché la cattiveria della gente non trova fondo.

Dumas ingarbuglia questa trama piuttosto lineare aggiungendo personaggi e storie che sul momento sembrano inutili lungaggini, ma si rivelano poi fondamentali allo sviluppo dell'intreccio e agli scopi del Conte.
Edmond non vuole solo vendicarsi: vuole sbriciolare i suoi tre aguzzini, ridurli più che in polvere. E lo fa con maestria suprema, sostenuto dal suo infinito ingegno e dal suo pressoché infinito patrimonio (diciamocelo, i soldi non guastano mai!).
Ebbene sì, sono una fan del Conte, un uomo che non si è mai arreso, pur stando sulla soglia di un precipizio, anzi, essendovi gettato dentro (anche letteralmente parlando). Nonostante la sua apparente alterigia, i suoi modi poco ortodossi, in fondo al cuore Edmond è rimasto una persona buona, delicata, che si commuove quando vede una famiglia felice, che farebbe (e fa) di tutto per un amico.
Non risparmia niente, né di fisico né di metafisico, che sia per male o per bene. Colpisce solo le persone che lo meritano (non solo secondo una sua personale giustizia, ma secondo quella di tutti) e cerca di salvare gli altri.
Un solo dubbio ha sfiorato questa grande persona in millecinquecento pagine: quando la moglie di Villefort avvelena persino il suo bambino di otto anni. Lì è preso dal rimorso, dal dubbio del castigo eccessivo. Eppure no, quando tutti abbiamo visto che potenzialmente quel bambino poteva solo diventare un uomo riprovevole, dedito a fare il male e non il bene. E al Conte perdoniamo anche questo (perlomeno io gliel'ho perdonato senza indugio).
Il suo ritorno al castello d'If mi ha raggelato, ho provato un brivido freddo a scendere di nuovo nella segreta da cui Edmond riuscì a scappare per miracolo.

Ecco, a proposito, unico appunto che mi sento di fare a Dumas: perché Faria è dovuto morire? Non si poteva trovare un altro modo? Era così simpatico! Anche lui avrebbe meritato di vedere di nuovo la luce del sole e di vivere ancora qualche tempo col suo nuovo figlio (che tra l'altro aveva anche già perso il padre)...insomma l'ho trovata una cattiveria inutile ecco...

Ok, ora mi sono sfogata.

Che dire degli altri personaggi: Maximilien mi è piaciuto anche se l'ho trovato troppo teatrale, così come Valentine (a volte sembra proprio una povera scema!), Danglars è così volgare che mi rifiuto di parlarne. Haydèe è un gran personaggio, peccato che le si dia poco spazio. Eugenie è la donna più forte di tutto il romanzo, mi è piaciuta tantissimo, con la sua volontà di ferro e la sua logica infallibile. Morcef si vede troppo poco, ma mi sembra senza infamia e senza lode, un antagonista dimenticabile. Quello che invece è indimenticabile è Villefort. Da un punto di vista oggettivo, è lui il mio personaggio preferito. All'inizio non gli davo una lira (come si suol dire), ma poi la sua figura austera e apparentemente retta mi ha affascinato: in realtà, eccettuata la parte da lui avuta nel rinchiudere Edmond ingiustamente, ha sempre percorso la strada della rettitudine, punendo (forse a volte con eccessiva durezza) i criminali che lo meritavano, senza lasciarsi impietosire da niente e nessuno. Il suo senso di giustizia anzi era più sensibile che mai da quando egli stesso, per salvare suo padre e il proprio nome, aveva momentaneamente deviato dalla retta via. E forse per lavare anche i suoi peccati, puniva quasi con furore quelli degli altri. L'ho trovato complesso, profondo e interessante, ecco. E' stato l'unico per cui ho provato un minimo di pietà, specie quando trova suo figlio e impazzisce.

Il linguaggio è nettamente diverso da quello con cui descrive le avventure di D'Artagnan, più tetro forse, e i temi sono molto più maturi, ma entrambi mi sono piaciuti moltissimo nel loro genere.
Il primo si legge con molta più facilità e sicuramente con molto più divertimento, il secondo è bello anche perché dà infiniti spunti di riflessione e perché è un piacere vedere una trama ingarbugliata sbrogliarsi con facilità! Sembra quasi che sia stato semplice ordire il tutto, ma è proprio qui che sta la bravura dei grandi: non farti accorgere del grande lavoro che c'è dietro un capolavoro.

Leggetelo. Anche se può sembrare lento o a volte troppo descrittivo (sono le parti che preferisco!), tutto è funzionale a quello che succederà. Ogni dettaglio preparatorio serve solo a rendere più grandiosa la scena della risoluzione (anzi, le varie scene).
Preparatevi a un colpo al cuore.

Anarchic Rain

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