mercoledì 2 maggio 2018

For the best is only brought at the cost of great pain...or so says the legend...

TITOLO: Uccelli di rovo
AUTORE: Colleen McCullogh
EDIZIONE: Bompiani
PAGINE: 560
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 6 e mezzo

There is a legend about a bird which sings just once in its life, more sweetly than any other creature on the face of the earth. From the moment it leaves the nest it searches for a thorn tree, and does not rest until it has found one. Then, singing among the savage branches, it impales itself upon the longest, sharpest spine. And, dying, it rises above its own agony to out-carol the lark and the nightingale. One superlative song, existence the price. But the whole world stills to listen, and God in His heaven smiles. For the best is only bought at the cost of great pain.... Or so says the legend


Avevo sì e no dieci anni quando vidi per la prima volta lo sceneggiato televisivo, alla faccia dei bollini rossi (che all'epoca ovviamente non c'erano) e dei genitori che proibiscono tutto (lo vidi con mia madre). Rimasi folgorata dalla storia. Già all'epoca non mi quadrava la storia del celibato dei preti, per cui non ho avuto nessuno shock nel vederne uno innamorarsi (che poi, diciamocelo, mica scemo il pretino a scegliersi Rachel Ward...per dire, eh). Quando scoprii, da adolescente, che la serie era tratta da un libro, ovviamente il mio primo pensiero fu procurarmelo. Non ricordo nemmeno dove lo trovai, ma lo lessi tutto d'un fiato, più volte.

La storia dura quasi cinquant'anni, mi pare, e segue la vita della famiglia Cleary, in un'Australia che non ha nulla del paradiso dell'immaginario collettivo, almeno all'inizio.
Padre, madre e sei o sette maschi più un'unica femmina, Meghan, o Meggie, come le piace farsi chiamare. Paddy è un grandissimo lavoratore e come lui tutta la sua prole, ed ha una sorella che dire ricca è poco, che non lo caga di striscio finché non sente di stare per morire. Allora si prende lui e tutto il cucuzzaro a Drogheda con sé (mica nella villa, ci mancherebbe, in una dependance) e cerca di insegnargli a fare il ricco signorotto delle praterie.
A che scopo poi, non si capisce, considerando che lascia tutti i suoi milioni e Drogheda alla Chiesa, nella persona di padre Ralph de Bricassart, un bellissimo, giovane prete che ha sopportato per anni le facezie, le cattiverie e le frecciatine di Mary (la sorella di Paddy).
Seguiamo quindi le loro vicende attraverso fughe, morti, matrimoni e nascite.
Nel complesso, possiamo dire che poche famiglie sono sfigate quanto i Cleary: perdono quasi tutti i figli maschi (a volte per cose davvero sceme) e i due che rimangono sono così attaccati tra loro e alle gonne della madre, che non potrebbero metter su famiglia manco volendo; Meggie, che non ama altri che padre Ralph, sposa di sua volontà un idiota tutto lavoro macho e zero voglia di vita matrimoniale, solo perché le ricorda vagamente il suo grande amore. E' l'unica che ha due figli, ma uno muore giovane e l'altra se ne va a Londra per fare l'attrice (Justine è il mio personaggio preferito tra tutti, insieme a Fiona, la madre di Meggie).

Per metà libro ci chiediamo se Meggie e Ralph riusciranno a vivere il loro amore (sì, ovviamente anche lui la ama alla follia) e la risposta è NI. Lo vivranno solo a metà, di nascosto, come se fossero fuorilegge (e vorrei vedere, lui è prete cattolico). Meggie otterrà da Ralph quello che ha sempre sognato, un figlio suo, ma ovviamente è proprio lui a morirle ad appena diciotto anni, se ben ricordo. E Meggie ne è devastata, perché per quanto ha sempre cercato di trattare i suoi due figli allo stesso modo, era chiaro che Dane era sempre il suo preferito.

Insomma, oggi come oggi, è un libro che rileggerei con piacere? Onestamente no. Non ha superato indenne la prova del tempo, nonostante tocchi a volte temi molto attuali e ancora dibattuti.
L'unica donna moderna di tutto il libro è Justine, che cerca di crescere libera e indipendente, facendo il lavoro che si è scelta, lontano da casa. Purtroppo (ma forse era inevitabile) anche lei alla fine è caduta nella rete del matrimonio, cosa che ho trovato un po' forzata, giusto per finirlo con una cerimonia...per me sarebbe stato molto più appetibile e veritiero un finale aperto, in cui rimaneva amica di Rain e poi chissà.
Poi tutte quelle morti una dietro l'altra, uno schiacciato da un albero (mi pare colpito da un fulmine), un altro caricato da un cinghiale, un altro di scarlattina (o difterite), un altro picchiato a morte su un ring illegale (o quasi). Insomma, santocielo! L'unico che poteva essere una brava persona, con un lavoro e voglia di vivere è Luke, il marito di Meggie, che però è un emerito testa di min*hia maschilista e ottuso.
Ralph è prete, quindi si autoesclude da sé dalla rosa dei vincenti. Che poi, come ci tiene a sottolineare il vescovo suo amico, prete sì, ma ha infranto tutti i voti cattolici (povertà, castità e ubbidienza), quindi bo. E il suddetto vescovo ci tiene pure a dire che è proprio per questo che gli sta simpatico e che è così interessante. Ripeto: bo. Certo, diffondiamo pure il messaggio che a un prete basta un bell'aspetto e può fare il caxxo che gli pare, tanto già lo fanno ampiamente...

Leggerlo? Non leggerlo?
Mah, se avete tempo da perdere sì, anche perché è scritto bene e le descrizioni dei luoghi sono davvero molto belle.
Altrimenti, lasciate stare e passate oltre. State bene così, credetemi.

Anarchic Rain

martedì 1 maggio 2018

Bisogna vivere con cautela e stare attenti alla compassione

TITOLO: L'impazienza del cuore
AUTORE: Stefan Zweig
EDIZIONE: Frassinelli
PAGINE: 376
VERSIONE LETTA: kindle 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 6

Ogni tanto torno a Zweig, come si torna a qualcosa che si ama e da cui ci si sente protetti.
So che ogni suo libro mi piacerà e so che, spesso, mi piacerà tanto.



Non voglio dire che con questo ho avuto la mia prima Zweig-delusione, ma ci sono andata vicino.
Contrariamente a come mi ha abituata, è un romanzo, il suo primo e unico, ma come sempre al centro della vicenda c'è il momento topico di una vita. Il punto di svolta, il classico breakpoint, dal quale mai (o quasi mai) si torna indietro.
Stavolta a parlarci direttamente è un uomo, un ufficiale dell'esercito, che racconta la sua storia in prima persona a un conoscente. I fatti che per sempre lo cambiarono accaddero quando aveva solo venticinque anni ed era un giovane e sprovveduto sottotenente della cavalleria austriaca, poco prima della prima guerra mondiale.

Vediamo un po' cosa mi ha convinto meno rispetto al solito.
La scrittura. Ebbene sì, non mi ha conquistata in un attimo, come sempre accadeva con lui. L'ho trovata troppo pesante e a volte ripetitiva. Inoltre, anche se poi ha risolto tutto e si è districato nel groviglio creato, ha messo molta carne al fuoco, molte storie nella storia, a volte si perdeva quasi il conto di chi stesse raccontando cosa. Un po' confusionario, ecco.
I personaggi. Fino a metà libro circa, mi sembravano delle marionette senz'anima, nonostante i numerosi scatti di passione/ira/compassione/altro che si sono susseguiti. Troppo suscettibili e con poca sostanza. Per fortuna, l'ultima parte è bellissima, lì è uscito lo scrittore che mi ha catturata. Il lungo discorso del dottore al tenente è stata la parte più bella del libro: uomo verso uomo, solo la verità nient'altro che la verità, il buio come copertina di Linus e l'iniziale tentativo di redenzione.
Davvero bellissimo.
Anche in seguito c'è stata un'altra scena simile, catartica allo stesso modo, quando Hofmiller scrive la lettera allo stesso dottore, mettendo a nudo davvero la sua anima e facendo per la prima volta quello che davvero gli suggeriva il suo cuore, senza pregiudizi e paure.
Purtroppo nel mezzo tanto brodo sciacquato.

Una cosa che ho notato sono le coppie descritte; sono tre e ognuna ha meritato la sua brava storia: ovviamente la principale, quella che non nasce mai veramente tra Hofmiller ed Edith, quella tra il padre e la madre di Edith e quella del dottore con sua moglie cieca.
Tutte e tre sono basate su una certa dipendenza della donna dall'uomo: Edith è una storpia che tenterebbe anche l'impossibile per Hofmiller, che purtroppo la sdegna proprio per la sua condizione fisica; la madre di Edith viene raggirata dal suo futuro marito come una scema; la moglie del dottore è stata sua paziente, il suo più triste fallimento anzi, e ora dipende da lui.
Insomma, la sagra del mainagioia.
Ma le tre donne dipinte non sono assolutamente delle perdenti, per Zweig. Della madre di Edith non sappiamo molto, ma ci tiene a raccontarci che è stata molto, molto amata, nonostante l'inizio non proprio idilliaco, dal marito. Edith stessa è una ragazza di diciassette anni che, nonostante la menomazione, ha solo voglia di vivere, di essere trattata come tutti gli altri e di non essere un peso per nessuno. La moglie del dottore, che è cieca, ha comunque trovato il suo mondo nella sua casa, nella quale si muove come se ci vedesse, e nell'amore di suo marito, che è più che sincero.

Zweig ci mette in guardia per tutto il romanzo (come recita anche il titolo inglese): FATE ATTENZIONE ALLA COMPASSIONE (Beware of pity). La compassione può essere di due tipi, come tutte le cose al mondo, e bisogna scegliere con cautela perché, se si fa la scelta sbagliata, ci si avvelenerà tutta la vita. Purtroppo la compassione del tipo sbagliato è il sentimento che guida Hofmiller per quasi tutto il romanzo, una certa aspirazione al martirio, un autocompiacimento nel quale smarrirsi. E infatti per quasi quattrocento pagine lo seguiamo nell'altalena del suo spirito, che una volta va da una parte, il secondo dopo da quella opposta, a seconda dello scenario in cui si trova: quando è al castello, sente che il suo "dovere" è quello di stare accanto a Edith (anche se solo come amico, all'inizio), quando è in caserma reagisce con stizza al suo essere servile nei confronti della ragazza e rinnega cento volte quello che fa quando sono insieme. Ogni volta si ripromette di non tornarci, di non assecondare più nessuno, ma fondamentalmente è un bravo ragazzo e cede a ogni supplica.
Però cavolo, deve esserci un limite!! Confesso che non è stato bello seguire i suoi mutamenti d'animo, mi sembrava un isterico, un bamboccio, sempre in balia di altre persone.

Ecco, forse il motivo per cui non ho tanto amato il libro è proprio il suo protagonista! Non mi è piaciuto.

In definitiva, lo consiglio? Ni. Se non avete mai letto altro di Zweig, no, leggete prima i suoi racconti brevi, lì dà il meglio di sé.
Se invece già lo amate, allora leggetelo, e magari fatemi sapere se sono stata troppo dura!

Anarchic Rain